CONTRODIPENDENZA AFFETTIVA E AMORE

… La vive come un incubo, nonostante non possa dire di non sentirsi attratto da lei. In realtà lui si sente preda di un destabilizzante “effetto elastico”: lei gli piace, sente la spinta ad avvicinarsi, ma appena prova a farlo scatta la molla dell’allontanamento, della fuga, del ritiro sulle sue posizioni, perché avverte che anche lei cerca di avvicinarsi, che desidera avvicinarsi, offrirgli calore, supporto e affetto. Tutto questo è per lui insieme fonte di gioia e di repulsione. Quello che ha imparato, quello che sa è che l’amore è pericoloso: rende vulnerabili, espone alla sofferenza, al rischio di tradimenti, abbandoni, incomprensioni feroci. Lui non ne ha bisogno. Ha imparato a non averne più bisogno. Basta a sé stesso. L’amore non deve far parte della sua vita: è una debolezza da cui tenersi al riparo, è un’illusione che si manifesta dolcissima e si trasforma poi in fiele. Lei è il “nemico”: la sirena ammaliatrice che prova in ogni modo a rompere le sue difese, a trovare un varco, un anello debole nella sua armatura. Cedere non è nemmeno contemplabile. Come i compagni di Ulisse, si tapperà le orecchie al canto struggente di questa donna che per lui potrebbe essere fatale…

Il “lui” della scena poco più sopra descritta teme le relazioni romantiche a tal punto da considerarle pericolose e da vedere in una potenziale partner sinceramente interessata a lui un “nemico” da cui doversi attivamente difendere. È cresciuto nell’idea di dover essere sempre e comunque in controllo, autosufficiente, perché l’autosufficienza significa forza, anche a costo di rinunciare a relazioni intime preziose per il calore, l’affetto e il supporto che offrono. Chi soffre di contro dipendenza affettiva in realtà spesso sente di non saper gestire le relazioni interpersonali, soprattutto quelle amorose, le cui “richieste” di reciprocità risultano intollerabili, quasi un attentato alla libertà e all’autonomia personale, in una concettualizzazione distorta dell’amore come “tutto o nulla” in cui non c’è spazio per la mediazione, il confronto e il compromesso. Seguendo la teoria dell’attaccamento di Bowlby (1982), se il bambino non ha sperimentato nell’infanzia una forma di attaccamento sicuro, cioè se le figure adulte significative di riferimento che si sono prese cura di lui nell’infanzia non sono state in grado di offrirgli un adeguato senso di riconoscimento per ciò che è e di veicolargli la necessaria fiducia in sé stesso e negli altri, diventerà un adulto che nutrirà un elevato livello di diffidenza nei confronti degli altri e una più o meno celata paura di non potercela fare con le proprie risorse (Borgioni, 2022). Nonostante, quindi, manifesti forza, autonomia e indipendenza, l’autosufficienza ostentata pubblicamente dal contro dipendente affettivo è artificiale e nasconde il terrore di non essere in grado di saper gestire in maniera efficace una relazione, di saper mantenere legato a sé il proprio partner, proprio come in qualche modo non è riuscito a mantenere emotivamente vicino gli adulti significativi della sua infanzia. Se il contro dipendente affettivo è incapace di provare fiducia nei confronti dell’altro perché il modello iniziale di relazione che si è andato costruendo nella sua infanzia è incentrato sulla diffidenza, sull’incostanza e sull’imprevedibilità delle reazioni dell’altro, è anche vero, come dice Borgioni (2022, p. X) che: “L’amore adulto […] chiede sempre dualità.” Il che significa che amare vuol dire lasciar andare almeno parzialmente il controllo e assumersi il rischio, la responsabilità di una storia che si è in due a costruire, con tutte le incognite e le incertezze del caso, proprio perché le soggettività coinvolte sono due, diverse, separate, con esperienze pregresse che possono essere anche molto differenti, così come lo possono essere le culture di provenienza, i valori ecc. In effetti, ciò di cui segretamente ha paura il contro dipendente affettivo, cioè che una storia possa finire, anche in malo modo, che si possa soffrire terribilmente per colpa di una relazione romantica in cui tanto si è investito, sperato e su cui tanto si è sognato e progettato, è sempre possibile e non potrà mai esserci assoluta certezza che essa duri per sempre. L’amore è un rischio, in un certo senso è un salto nell’ignoto, un lancio di dadi su cui si scommette, è qualcosa da cui lasciarsi travolgere. Per affrontare questo rischio, questo ignoto così attraente ma nello stesso tempo terrificante è però necessario “sapere” a livello emotivo che: “L’amore adulto […] non può non includere sempre in sé la possibilità della separazione, transitoria o definitiva, dall’oggetto d’amore.” (Borgioni, 2022, p. XII). Le relazioni amorose, anche quando sono stabili, solide ed equilibrate, portano sempre in sé la possibilità di una fine, di una rottura. Questa incertezza costitutiva delle relazioni romantiche (ma si potrebbe allargare il concetto alle relazioni interpersonali in generale) deve rientrare nell’orizzonte della pensabilità da parte della coppia, onde scongiurare il pericolo che uno o entrambi i partner ricerchino inconsapevolmente una relazione fusionale in cui non ci sono più due distinte soggettività, ma una forma di simbiosi, nell’intento di rendere l’altro manipolabile, controllabile e, quindi, prevedibile (Borgioni, 2022). 

Quando una relazione non è equilibrata e causa sofferenza psicologica è opportuno ricercare l’aiuto di un professionista qualificato che possa essere di sostegno e supporto nello scioglimento dei nodi che si sono andati creando.

Riferimenti bibliografici:

Borgioni, M., (2022). Eco, narciso e le figure della dipendenza affettiva. Roma: Alpes.

Bowlby, J., (1982). Costruzione e rottura dei legami affettivi. Milano: Raffaello Cortina Editore.

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