A proposito di vicinanza… né troppo vicini né troppo lontani

“Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche e il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”

Ho voluto inserire qui questa breve, bellissima, favola del filosofo Schopenhauer perché rende efficacemente l’idea della  continua ricerca di una posizione comoda nei pressi degli altri, ma anche perché può essere utilizzata in generale come metafora illuminante per descrivere la complessità delle relazioni umane, con tutta la loro ambiguità; la difficoltà, cioè, di trovare una giusta distanza nelle relazioni interpersonali, quindi una modulazione della vicinanza-distanza che sia sufficientemente buona, per prendere in prestito un’espressione di Winnicott (ed. 2005), per quelle persone, in quel preciso momento e dentro quel determinato rapporto.
Più equilibrata sarà la danza di avvicinamentodistanziamento messa in atto dai protagonisti del rapporto (sentimentale, parentale, amicale o lavorativo), più sana sarà la relazione .

“La strana intimità di quelle due rotaie. La certezza di non incontrarsi mai. L’ostinazione con cui continuano a corrersi di fianco.”
(Alessandro Baricco)

Tra coinvolgimento e distacco
Due rotaie che corrono parallele… due rette parallele che non s’intersecano mai, eppure, come dice Baricco, che si ostinano a correre fianco a fianco. C’è qualcosa di profondamente misterioso, quasi romantico, in tutto questo. Qual è la giusta distanza per sentirsi intimi con qualcuno senza sentirsi invasi? Esiste un significato oggettivo di “giusto”, in questo caso?
Esistono due poli: vicino/coinvolto e lontano/distaccato, ma l’unità di misura della distanza in realtà è mutevole, si adatta alle necessità e alle difficoltà delle persone: ci si può sentire lontani miglia e miglia da tutti pur trovandoci in mezzo ad una folla; viceversa, ci si può sentire invasi, soffocati, in compagnia di una sola persona o da soli.
Il bisogno di contatto, tipico dell’intimità, dunque, è soggettivo e parla di noi , di quanta vicinanza o distanza dall’altro siamo in grado di sopportare. Si tratta di distanza/vicinanza che è insieme fisica ed emotiva, ed ha a che fare con la nostra capacità e disponibilità a farsi toccare dagli altri, dove il lato emotivo però è più sfumato e non sempre coincide con quello fisico. Parlando di relazioni sentimentali, per fare un esempio, è facile comprendere come non sempre la sessualità condivisa sia sinonimo di intimità. Quando non c’è reale intimità, non c’è un vero toccarsi: entrare in contatto con l’altro, in relazione, significa assumersi impegno e responsabilità, stare in equilibrio tra il proprio bisogno di autonomia e lo sbilanciamento verso l’altro e le sue richieste; l’intimità, quindi, instaura un tipo di legame che può spaventare chi vive le relazioni in maniera superficiale restando sempre sulla difensiva.
Virginia Satir, In Il Cambiamento terapeutico della famiglia (1980), considera fondamentale quella forza che permette di andare oltre la paura della distruttività per promuovere in modo funzionale stima e intimità .
La giusta distanza, soggettiva e personale, è come una danza in cui i due partner bilanciano armoniosamente i propri movimenti, calibrandoli sulle proprie capacità ma anche su quelle dell’altro, creando così qualcosa di unico. Come nella danza, non ci può essere una vicinanza troppo soffocante ma neanche una distanza che raffredda. La giusta distanza è presenza e contatto, che passa anche dagli occhi, attraverso lo sguardo.
E’ possibile definire la giusta distanza? Se definire significa delimitare misurazioni precise, da ciò che ho scritto più sopra si evince che una definizione non può esserci. Quello che rende possibile trovare la giusta distanza è la nostra capacità di leggere le emozioni dell’altro attraverso la nostra capacità empatica, che ci permette la sintonizzazione sullo stato d’animo della persona che abbiamo davanti. Lo psicologo Paul Bloom (2019) differenzia tra empatia cognitiva, cioè la nostra capacità di capire lo stato mentale dell’altro (theory of mind) e empatia emotiva, ossia la nostra modalità di percepire lo stato emotivo, l’emozione che l’altro con cui siamo entrati in contatto sta provando. Entrambi i tipi di empatia risultano necessari per affinare la danza della giusta distanza.
Lo stesso Carl A. Whitaker (1990) nel definire il matrimonio, nella sua accezione più ampia, si riferisce ad un modello adulto di intimità, che è insieme unione e separazione, che ha la qualità e la struttura di molti rapporti, compreso quello madre – bambino
E per voi , qual ‘è la giusta distanza nelle vostre relazioni ?