Il victim blaming
… Poverina, certo, la violenza sessuale è una gran brutta cosa, per carità! Però un po’ se l’è cercata vestita in quel modo! Che si aspettava? Un uomo quando vede una bella ragazza vestita tutta sexy si sente montare il sangue alla testa.
… È vero che lui la picchiava, e forte anche! Certe volte non veniva a lavoro perché aveva addosso troppi lividi, però, insomma, forse la cosa non era così grave come ce la racconta ora perché ci ha vissuto insieme per tanti anni. Poteva andarsene subito, no?
… È una provocatrice quella, una “Cecco toccami”, prima ci sta e poi si tira indietro… uno come fa a capire che cosa vuole davvero?
… Se una beve fino a stordirsi poi è logico che finisce nei guai! Se una rimane sobria resta vigile, invece, e nessuno le fa nulla.
Quante volte nella vita quotidiana sentiamo discorsi del genere su vittime di violenze sessuali, stupri o abusi commessi in ambito domestico? Qualche volta capita di leggere parole simili anche sui giornali. Il processo di colpevolizzazione della vittima di un reato ha un nome inglese, si chiama “victim blaming”. Apparentemente sembra assurdo che si possa addossare alla vittima la colpa dell’evento criminoso che ha subito ma è proprio quello che accade quando qualcuno pronuncia frasi simili a quelle più sopra riportate.
Perché accade un fenomeno del genere?
La prima risposta che si può fornire è: per difesa. Inorridiamo davanti a crimini efferati che non sappiamo spiegarci ma che ci fanno paura e ne prendiamo le distanze proiettando la colpa di quanto accaduto sulla vittima che è troppo bella, troppo giovane, troppo poco vestita, troppo ubriaca, troppo ingenua, troppo provocante e così via. In qualche modo, ci diciamo che deve essere anche un po’ colpa sua se non ha saputo difendersi. Ma, soprattutto, ci diciamo che non ci assomigliava, che noi abbiamo caratteristiche diverse e che, quindi, non ci accadrà nulla di male. Ci rassicuriamo ponendo la maggior distanza possibile tra noi e la vittima.
Il victim blaming, spesso inconsapevole, contribuisce a fomentare pregiudizi e stereotipi di genere che poi si consolidano in ambito sociale, con conseguenze negative significative sia per la società in generale (maggior tolleranza nei confronti di reati di genere, deresponsabilizzazione dell’autore del crimine, diminuzione della percezione della gravità del crimine, diminuzione del sostegno fornito alle vittime ecc.), sia per le vittime che possono a loro volta colpevolizzarsi per quanto è accaduto, finendo per nascondere di essere state vittima di violenza e per non denunciare il crimine subito per non sentirsi doppiamente vittime, questa volta della società, che, nella migliore delle ipotesi, le etichetta come “sprovvedute “ o “avventate “.
Le vittime, dunque subiscono anche la colpevolizzazione del loro aspetto, del loro stile di vita, del loro comportamento; possono venir additate come “ragazze facili “ o sbandate e tutto questo, sommato alla violenza subita, può comportare l’emergere di disturbi d’ansia e/o depressivi, del disturbo post traumatico da stress, di un abbassamento della propria autostima e della fiducia negli altri; può anche portare all’abuso di alcol e sostanze stupefacenti.
Veder minimizzata la violenza subita e assolto il criminale che l’ha commessa, può far sentire la vittima “sbagliata “, delegittimata nelle sue emozioni (paura, umiliazione, rabbia), che invece sono intense e chiedono contenimento ed elaborazione.
Deve essere cura di tutta la società sostenere le vittime di violenza, quale che sia il loro sesso, razza, religione o stile di vita, non colpevolizzandole per il loro modo di essere e non legittimando il comportamento violento dell’aggressore in nessun caso.
È opportuno anche ripensare l’educazione dei giovanissimi allo sviluppo del rispetto di genere, all’ascolto empatico, all’accoglienza del diverso, al supporto della fragilità e alla regolazione delle proprie emozioni.
Riferimento bibliografico:
Victim Blaming – ordine degli psicologi della Lombardia
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