Dove inizia l’educazione?

“I ragazzi di oggi sono maleducati, rispondono male e hanno sempre la testa tra le nuvole. Ai nostri tempi le cose erano diverse.”

“È tutta colpa della scuola se esistono le baby-gang e la criminalità minorile: non li sanno educare e li trattano con i guanti bianchi.”

“Maestri e professori dovrebbero guidare i loro allievi anche nella vita, non insegnare soltanto le loro materie scolastiche.”

Di frasi del genere ci capita di leggerne quotidianamente sui social media; di sentirne sul bus o nei negozi. La televisione e i giornali pullulano di sedicenti esperti più o meno famosi che elargiscono suggerimenti, consigli o franche valutazioni sul mondo della scuola e dei ragazzi. Il più delle volte si tratta di “tagliare i panni addosso” a insegnanti e dirigenti scolastici ritenuti incapaci di fare correttamente il proprio lavoro, di non essere “empatici”, di non essere aggiornati su tutte le difficoltà che un individuo in via di sviluppo può incontrare sul suo cammino. Partiamo da qui, in queste nostre riflessioni: qual è il vero lavoro di un insegnante? La risposta che ci viene di getto è: educare. Gli insegnanti svolgono un importantissimo compito educativo. Giusto e vero. Gli insegnanti educano, ma “educare” ha due accezioni: con una s’intende “istruire”, “insegnare”, “far apprendere” qualcosa: una disciplina, un concetto, ecc. Con l’altra s’intende offrire un modello relazionale, di supporto, di sostegno allo schiudersi dell’esperienza. In senso socratico, l’insegnante favorisce nel discente l’apertura al mondo e gli offre quello scaffolding necessario per riuscire a costruirsi il suo sapere, la propria educazione… A ben guardare questo termine, forse un po’ abusato di questi tempi, ha anche un’altra accezione: quella di educazione alle norme, alle regole, ai principi e ai limiti. La scuola fa anche questo: offre un banco di prova al ragazzo in via di sviluppo, che si trova a doversi confrontare giorno dopo giorno con adulti e coetanei con i quali può trovarsi in disaccordo, con i quali può competere, che possono suscitargli simpatie, antipatie ecc.. Riflettiamo un momento: può la scuola soltanto farsi carico del fardello dell’educazione alle regole (ma anche alla gestione delle emozioni, dei conflitti, della diversità dei principi e dei valori ecc.) degli studenti? La prima educazione nasce in casa, in famiglia. I primi modelli che un bambino acquisisce e assimila sono quelli che ha più vicino: i genitori. La coppia genitoriale, insieme e agendo in accordo, ha la responsabilità della prima educazione della prole.  Il mestiere del genitore è certamente difficile e sembra non offrire garanzie di successo, cosa che spaventa e alimenta il senso di inadeguatezza che talvolta ci sfiora. Eppure… eppure non si può semplicemente “delegare” ad altri, alla scuola, per esempio, una responsabilità che è nostra. Se il genitore perfetto non esiste e non è mai esistito, esiste, però, il genitore “sufficientemente buono” che è in grado di guidare alle prime esperienze i propri figli, che accetta e accoglie con le loro particolarità e differenze. Il genitore che non “delega” è un adulto serenamente responsabile della propria esistenza, che può farsi carico dell’educazione dei propri figli secondo i suoi valori e la sua coscienza. Commetterà sbagli e qualche volta forse sentirà di non farcela, ma avrà le risorse per trovare soluzioni “sufficientemente buone” in seno al proprio nucleo familiare. Riflettiamo ancora: mettere al mondo un bambino, di per sé non è sufficiente a fare di noi dei genitori; la figura del genitore nasce e cresce insieme al figlio che segue; sbaglia e impara; prova; torna sui suoi passi, ma soprattutto, ascolta e negozia. La prima educazione nasce in famiglia, non a scuola, né al catechismo: il bambino guarda alla madre e al padre fin dall’inizio per sentirsi rispecchiato e contenuto, guidato laddove ce n’è bisogno. Essere un genitore è un lavoro a tempo pieno, da cui non si stacca mai. Ma se ci procura ansia pensare che potremmo utilizzare le parole sbagliate, ferire nostro figlio inconsapevolmente, fare la scelta errata, dobbiamo tenere sempre a mente che ciò che conta di più è il nostro comportamento. Dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi con tutta l’onestà di cui siamo capaci, perché i bambini sentono se non siamo sinceri con loro, se le nostre azioni non sono in linea con le nostre parole. I bambini hanno bisogno di un modello positivo con cui confrontarsi e della nostra capacità di contenimento per imparare a gestire le regole, i divieti, i limiti, ma anche le risorse e le competenze. 

Non sempre, tuttavia, per i motivi più svariati, siamo in grado di rapportarci in maniera serena con i nostri figli, soprattutto nei momenti più delicati dello sviluppo: molto dipende dai nostri “nodi” passati, se li abbiamo sciolti o se sono ancora lì a ingarbugliare ogni tanto la matassa della nostra vita. Che fare, allora? La ricerca di un buon terapeuta può essere il primo passo per riconciliarci con la nostra responsabilità genitoriale.

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